… Ad appena 21 anni Luigi Fantappié si laurea con lode in matematica pura presso la Normale di Pisa. Nel 1950 viene invitato da Robert Oppenheimer ad entrare nell’Institute for Advanced Study di Princeton, l’esclusivo circolo di cui hanno fatto parte Albert Einstein, Kurt Gödel e John von Neumann, per citare solo qualche nome.
Nel 1942 Fantappié è all’apice della fama, tra i matematici più noti non solo in Italia ma nel mondo. In quell’anno, però, propone la teoria unitaria del mondo fisico e biologico, che completerà nel 1947 con l’introduzione del concetto di esistenza totale e che gli farà guadagnare, nel migliore dei casi, l’incomprensione dei suoi colleghi. Qualche tempo prima, confrontandosi con due scienziati suoi amici, Fantappié si era reso conto che la fisica aveva espunto praticamente metà delle equazioni che definiscono l’universo. Queste equazioni dimenticate, per giunta, sembravano spiegare i processi più nascosti e misteriosi della vita. Fantappié giunse a queste conclusioni ragionando sull’equazione energia/momento/massa della relatività ristretta di Einstein, che nella sua forma estesa appare così:
E2 = m2c4 + p2c2 (1)
dove E è l’energia, m la massa, c la velocità della luce e p il momento. Si tratta evidentemente di un’equazione quadratica, e come tale ha due soluzioni, una positiva e una negativa: +E/–E. I fisici avevano sempre scartato la soluzione negativa per il semplice motivo che nella variabile p compare il tempo e ammettere una soluzione negativa significherebbe accettare l’idea che il tempo possa muoversi a ritroso, dal futuro al passato. Il che, forse è superfluo dirlo, per la fisica tradizionale è assurdo. Per uscire dall’impasse Einstein propose di porre p = 0, dal momento che i corpi in movimento hanno, rispetto alla luce, una velocità bassissima, tale da poter essere trascurata. In questo modo l’equazione prende la seguente forma:
E = mc2 (2)
La (2), la si sarà riconosciuta, non è altro che la formula semplificata della relatività: poiché non si tratta più di un’espressione quadratica, essa ammette una sola soluzione, quella positiva (+E).
Problema risolto, sembrerebbe. In effetti è così, perlomeno finché si resta nell’ambito del moto dei corpi, cioè di velocità non relativistiche. Ma quando ci si addentra nella fisica subatomica le cose cambiano. Nel 1924 Wolfgang Pauli aveva scoperto che gli elettroni ruotano su se stessi (spin) a velocità elevatissime, prossime a quelle della luce. Lo spin, che è un momento angolare, non può pertanto essere posto uguale a zero. Ne consegue che, quando si opera nel campo della fisica subatomica, occorre necessariamente utilizzare la formula estesa della relatività (1), con le sue due soluzioni, il tempo che procede a ritroso e tutto il resto. L’escamotage di Einstein, insomma, non può essere utilizzato. Per uscire dal guado la comunità scientifica decise d’autorità di non considerare la soluzione negativa.
Fantappié non fu affatto d’accordo. Se la formula negativa è prevista dall’equazione, come possiamo rifiutarla, dichiarare che è priva di senso? Da matematico, Fantappié riteneva che le formule abbiano un principio di realtà, significhino qualcosa: non possiamo prenderne solo la parte che ci fa comodo. Lo scienziato viterbese prese quindi a studiare le proprietà di entrambe le soluzioni, la positiva e la negativa. Scoprì così che la prima descrive l’energia che procede espandendosi da una sorgente puntiforme, com’è per esempio la luce emanata da una lampadina. Anche la soluzione negativa descrive energia che proviene da un punto, ma procedendo a ritroso nel tempo. A noi che ci muoviamo in avanti nel tempo, cioè dal passato al futuro, l’energia descritta dalla soluzione negativa appare come energia convergente, che si concentra in un punto producendo differenziazione e complessità. Fantappié chiamò sintropia la legge definita dalla soluzione negativa, per distinguerla dell’entropia definita invece dalla soluzione positiva.
Approfondendo i suoi studi sulla soluzione negativa e sulla sintropia Fantappié vi ritrovò le stesse proprietà dei sistemi viventi, e cioè l’organizzazione in strutture, l’ordine, la complessità. Il matematico suggerì allora la suggestiva ipotesi che la vita provenga non dal passato ma dal futuro; le cause della vita, in altre parole, si troverebbero non dietro ma davanti a noi. I colleghi di Fantappié non la presero bene. Anche perché lo scienziato viterbese, profondamente credente, dichiarò più volte che la teoria della sintropia aveva avuto il benefico effetto di fargli comprendere certi misteri della fede, il cui significato gli apparve d’improvviso chiaro; questa commistione tra fede e scienza non è un peccato che la comunità scientifica sia disposta a perdonare facilmente.
Vale la pena di riportare un brano di una lettera scritta da Fantappié a un amico subito dopo l’intuizione della sintropia: «In seguito ad alcune discussioni con due colleghi, un biologo e un fisico, mi si svelò improvvisamente davanti agli occhi un nuovo immenso panorama che cambiava radicalmente la visione scientifica dell’universo avuta in retaggio dai miei maestri, e che avevo sempre ritenuto il terreno solido e definitivo su cui ancorare le ulteriori ricerche nel mio lavoro di uomo di scienza. Tutto a un tratto vidi infatti la possibilità di interpretare opportunamente una immensa categoria di soluzioni (i cosiddetti ‘potenziali anticipati’) delle equazioni ondulatorie, che rappresentano le leggi fondamentali dell’universo. Tali soluzioni, che erano sempre state rigettate come ‘impossibili’ dagli scienziati precedenti, mi apparvero invece come ‘possibili’ immagini di fenomeni, che ho poi chiamato ‘sintropici’, del tutto diversi da quelli fino allora considerati, o ‘entropici’, e cioè dai fenomeni puramente meccanici, fisici o chimici, che obbediscono, come è noto, al principio di causalità (meccanica) e al principio del livellamento o dell’entropia. I fenomeni ‘sintropici’, invece, rappresentati da quelle strane soluzioni dei ‘potenziali anticipati’, avrebbero dovuto obbedire ai due principi opposti della finalità (mossi da un ‘fine’ futuro, e non da una causa passata) e della ‘differenziazione’, oltre che della ‘non riproducibilità’ in laboratorio». … (Marco Galloni)